Ramenc

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La piazza della chiesa è gremita, quasi non respiro. Una zingara legge la mano ad una turista dall’aria preoccupata tra i vagiti di un neonato e un violino che suona ininterrottamente da ore. Nella confusione intravedo gonne variopinte, piedi scalzi e pelle color carbone rigorosamente tatuata. I cavalieri arrivano quattro alla volta entrando tra la folla festante che innervosisce gli equini minacciosi di calci.

Un raggio di sole mi trafigge gli occhi, riesco a intravedere l’ombra di un bambino arrampicato sulla croce, altri sugli alberi e sui tetti. Un cavallo piscia per terra e scorreggia fragorosamente, tento di spostarmi ma ho poco spazio e le gocce mi bagnano le gambe. Cerco di evitare uno zoccolo un po’ troppo alto e approfitto per entrare nell’area delimitata dalle transenne. Una nodosa mano tatuata afferra subito il mio braccio. - Journaliste? –. È un uomo alto e muscoloso, la fascia sul braccio con scritto “Sécurité” e la camicia sembrano appena esplose, ricorda l’incredibile Hulk dopo la trasformazione. Ha i lineamenti duri e spigolosi, una cicatrice sotto il labbro e fuma un Toscano piccolo che tiene sempre in bocca anche quando parla. Gli consegno un biglietto da visita che guarda tra le mani senza curiosità, sbuffa e mi spinge di nuovo nel carnaio a fianco a un uomo con la camicia aperta e un volto di donna tatuato vicino al cuore. Non è lì per pregare Dio, è troppo forte quel dolore che leggo nei suoi occhi. Continuo ad osservarlo, capelli scomposti, grossi anelli alle dita e due occhi neri come biglie. Li alza verso di me e il suo sguardo è severo quando si accorge che lo sto studiando, così sposto la mia attenzione dalla sua figura al tatuaggio. Ha qualcosa scritto in obliquo sul collo del piede, forse un nome. Sono più alto di lui di almeno due spanne, mi accorgo di coprire la sua visuale e cerco di sdrammatizzare con un sorriso. Lui non ricambia ma non importa e si presenta. Si chiama Balo e quella che porta sul petto è la moglie. “Il bastardo me l’ha portata via in quattro mesi” dice senza una piega su quel volto duro come il cuoio, poi si tocca la croce sul petto e i suoi occhi sembrano avere un sussulto. Intanto una donna con un foulard a fiori sulla testa impreca e mi spinge via malamente. Mi ritrovo ancora nella zona transennata, adesso resto qui, cascasse il mondo! I cavalli si muovono scalciando in una danza irrequieta ed io quanto loro, tento di schivarli ma la solita mano tatuata, stavolta più decisa, mi scaraventa letteralmente via. Il caldo, l’odore di pelle sudata, la merda di cavallo e l’incenso mi stanno facendo impazzire. Una litania aumenta di volume progressivamente, “Viva la Santa Sara, Viva la Santa Marie” e la folla si stringe. Centinaia di braccia al cielo inneggiano la statua di Santa Sara che sta uscendo dalla porta principale della chiesa. É nera, questo lo sapevo, ma è la dimensione della testa, nettamente più piccola rispetto al corpo, che salta all’occhio. I cavalli sentono l’eccitazione intorno a loro, le persone sono ormai un fluido unico che vive di vita propria e si muove sinuosamente cadenzato dai cori di preghiera. La statua è ora in mezzo alla piazza, scavalco due persone sgarbatamente ed entro nella zona vietata sperando di non essere beccato. Incrocio lo sguardo dell’incredibile Hulk e mi batte il cuore. Le sue labbra però si muovono verso l’alto e sul viso corrucciato intravedo un sorriso, poi si volta come se nulla fosse e… sono libero! Decine di zingari fuoriescono dalla piccola chiesa portando reliquie e vessilli di ogni famiglia e gruppo. Quello con lo stendardo più grande sembra uscito da uno di quei vecchi spaghetti western, ricorda Clint Eastwood, del quale sembra la brutta copia. Posa per terra il bastone, sembra già stanco, ma viene subito spronato da una voce decisa: “lo stendardo deve restare alto!”.  Un uomo con una tonaca bianca, forse un sacerdote posseduto dalla nicotina, se ne accende una appena varcato il portone. Una nuvola grigia mi nasconde per qualche secondo il suo viso fino a che non intravedo luccicare i suoi denti d’oro. La processione è disposta in uno schieramento di calcistico composta da due personalità della famiglia più importante in testa al gruppo, dietro di loro il prete avvolto nei suoi paramenti e i chierichetti davanti alla statua sorretta a turno dai prescelti. Poi viene la folla dei gitani che camminano con lo sguardo di ghiaccio, barcollando come sonnambuli o sostenendosi a vicenda. Sento spingere e indietreggio tra lo sterco di cavallo e I bambini che girano attorno, hanno il viso scaltro, gli occhi furbi e l’aria di chi vive senza confini, liberi come i cavalli. Hanno dei tatuaggi removibili, tanto per far capire già la loro personalità. Corrono e si nascondono sotto la statua, altri invece piangono consolati dalle loro mamme. Non mi è chiaro cosa li spaventi ma la scena si ripete in ogni direzione. Forse sono le facce tese dei loro padri, irriconoscibili ai loro occhi, forse quelle degli altri uomini, freddi e incartapecoriti dal sole. Le mamme conoscono il momento, ma sono loro che vedo raccogliere le lacrime con un dito, sono loro il porto sicuro nella calca dantesca e il salvagente in quel mare agitato. Procediamo lentamente, fermi a intonare litanie nelle stazioni prefissate. Inciampo sopra una merda di cavallo ma resto in equilibrio camminando e fotografando la prima linea. Il ragazzino che guida la processione porta i segni dell’acne giovanile sulle guance ma ha lo sguardo di chi la vita già la conosce e sembra volermi sfidare. La strada asfaltata ora si copre di sabbia sempre più fine e profonda finche non si trasforma in spiaggia. Il passo diventa pesante, la gente si raduna intorno alla statua e volti nuovi spuntano come funghi. Ci fermiamo nuovamente, centinaia di zingari circondano la statua pronta a entrare in mare, ormai tutto è concesso, spintoni, grida e scene d’isterismo caricano l’aria come una tempesta improvvisa. I cavalli attendono sulla battigia quel momento ignoto che il loro sesto senso rende nervosi. Un vento fresco trova varchi tra gli spazi aperti della spiaggia e un gruppo di gabbiani assiste da una posizione privilegiata, volando in cerchio sopra la fiumana di gente. Senza un segnale apparente tutti si muovono spinti da una forza etera, ora non ci sono più distinzioni e come formiche marciano verso il mare. Un’esplosione di voci accompagna la statua della santa che sembra prendere vita e osserva la bolgia con occhi spaventati. Cammino a fatica sulla sabbia seguendo la direzione dettata dall’inerzia della folla, una gomitata mi trafigge il costato e la fitta tremenda mi sveglia dalla trance in cui ero immerso. Intorno a me solo facce scure e menti svuotate, braccia al cielo e lacrime. Stanno vivendo il presente dimenticando tutto il resto, partecipano con un’intensità e una sincerità incomprensibili per la nostra mentalità. La confusione è tale da farmi perdere l’orientamento e mi accorgo di essere finito in mare immerso fino alla vita. Ho freddo e ogni onda raggiunge zone sempre più alte del mio corpo. I cavalli, anche loro scioccati, si voltano a formare un muro a difesa della processione che è entrata in acqua accompagnata da un boato da stadio, grida e pianti. Un uomo comincia a lanciare verso l’alto l’acqua del mare, il bambino al suo fianco, completamente fradicio, trema per lo spavento e per il freddo. L’uomo lo solleva così rapidamente da mozzargli il fiato e lo avvicina alla statua. La sua mano è timorosa e scoppia in lacrime quando afferra la veste sacra di Santa Sara. Mi accorgo che tutti i genitori cercano di benedire i propri figli a ogni costo, anche venendo alle mani. Occhi vitrei ed espressioni barbare si fanno largo per avvicinarsi il più possibile anche solo per sfiorarla. Una donna si gira come un animale quando mi trova sulla sua strada e comincia a smanacciarmi con i suoi artigli colorati. Il suo graffio mi inietta quell’ansia che fino ad ora era nascosta dalla foga e comincio ad avere paura. Suo marito mi redarguisce con lo sguardo e con quelle mani, i cui pugni sembrano due meloni, mi spinge per terra. Sdraiato sulla sabbia mi sento stanco, bagnato, graffiato e con le scarpe sporche di merda e di sabbia (il cui mix non lo auguro al mio peggior nemico). Osservo i cavalli uscire dal mare seguiti dalla statua di Santa Sara e da centinaia di zingari ancora carichi di adrenalina. La folla si disperde in tutte le direzioni e il tour de force perde la sua linfa vitale. Appoggio la nuca sulla sabbia e guardo i gabbiani, sono ancora lì a volare in cerchio sopra di noi, forse loro non si sono accorti di nulla.